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in ogni titolo, un riassunto della Relazione sul progetto di legge del Codice civile presentato al Senato del Regno nelle tornate del 15 luglio e del 26 novembre 1863 dal Ministro Guardasigilli (PISANELLI), della Relazione della Commissione speciale dello stesso Senato sui tre libri del Codice civile (Relatori VIGLIANI, VACCA e DEFORESTA), di quella del Ministro Guardasigilli (VACCA) rassegnata a Sua Maestà il 25 giugno 1865 per la definitiva approvazione del Codice stesso, ed in fine, occorrendo, delle relative discussioni seguite in Parlamento;

3o Di citare le molte leggi romane (e tal fiata anche le canoniche) alle quali si riferisce o può riferirsi la disposizione di ciascun articolo, e che sono per lo più la verace sorgente ed il tipo della nuova legge, sia conforme (come spesso accade), sia discorde, affinchè il lettore possa ne' suoi studii farne il raffronto (il quale del resto non di rado vien fatto rapidamente dagli stessi Compilatori, per quanto il comporti l'indole di mere chiose); e di fare eguale citazione, articolo per articolo, dei corrispondenti articoli dei Codici civili francese, austriaco ed italiani vigenti finora, sempre all'oggetto che se ne formi il confronto e che meglio si conosca la nuova legge ne' punti che concordano o discordano dall'anteriore;

4o Di fare ancora a ciascun articolo brevi e concise annotazioni dirette: a) a dare alcune spiegazioni sulle disposizioni del nuovo Codice, accennando i principali cangiamenti al diritto anteriore, con qualche nota critica che si reputasse opportuna intorno ad esse; b) a ricordare principii direttivi del diritto, tratti in parte dalla giurisprudenza romana, e quasi sempre sottintesi nei moderni Codici, che si accontentano dei corollarii; c) a citare opinioni dei più chiari commentatori del Codice civile francese e di altri insigni scrittori, e le massime di giurisprudenza consacrate dai Magistrati nazionali e stranieri; quali massime ed opinioni potranno ancora per molti anni, e tanto più in questi primi successivi alla emanazione del nuovo Codice, riuscire utilissime nella pratica forense e per l'applicazione ai casi, atti e fatti trascorsi, e per la interpretazione delle disposizioni ora vigenti.

E siccome poi nei moderni Codici (come è ben saputo) non si racchiude tutto lo scibile del diritto, e molte questioni sono da essi abbandonate ai lumi della giurisprudenza, così su molte materie ed obbietti pretermessi si è voluto dai Compilatori dare in apposite APPENDICI ai varii Titoli o Capi del Codice, avvertenze, regole e massime forensi, affinchè, per difetto di appropriato luogo, non si tralasciasse la trattazione d'importanti questioni.

Motivi e testo della legge, confronti e paralleli colle altre legislazioni, spiegazioni, regole, opinioni, massime di giurisprudenza racchiuse in brevi e concise note: ecco in pochi cenni l'indole e l'economia del lavoro che presentiamo al pubblico.

Gli Italiani, che da lunghi anni onorano di speciale favore le molte pubblicazioni che escono dalla nostra Casa, ed i cultori delle scienze legali in ispecie, vorranno, speriamo, far buon viso anche alla presente; la quale, a non parlare del suo merito d'attualità, avrà certamente il pregio di offrire riunito in discreto e poco costoso volume un complesso di nozioni indispensabili a chiunque si dedica agli studii legali od agli affari forensi.

GLI EDITORI.

PROLEGOMENI

INTORNO ALLA CODIFICAZIONE DELLE LEGGI CIVILI IN ITALIA

Come

Home la legislazione statutaria fu l'inevitabile corollario del sistema feudale e municipale e dello sminuzzamento politico della società civile nel medio evo, così la codificazione delle leggi, specialmente civili, doveva essere l'ultima e logica conseguenza della costituzione delle nazionalità moderne sorte sulle rovine delle franchigie municipali e dei privilegi feudali, e raggruppate intorno ad una sovranità che impera su cittadini liberi ed eguali.

Ma, come il laborioso conquisto della libertà sposata all'eguaglianza civile e l'unificazione delle società politiche in Europa fu opera lenta di parecchi secoli, così l'unificazione delle leggi e la loro codificazione, mezzo e scopo necessario alle Monarchie assolute per consolidare il loro impero sui Municipii e sui baroni, venne attraversata da mille difficoltà, e soltanto potè a mala pena farsi strada per via di mutue transazioni e di complicati temperamenti, che pur lasciavano sussistere il vecchio edificio legislativo, e mandavano a monte ogni tentativo di mettere insieme un Codice indettato a quell'idea sintetica, onde s'informano generalmente i Codici moderni.

Già sotto il regno di Carlo VII erasi tentato in Francia di riunire in un solo tutti gli statuti, ma questo progetto non potè avere eseguimento: il presidente Brisson, che peri così miseramente fra gli orrori della Lega, Lamoignon e D'Aguesseau avevano cercato di riprodurre questo pensiero di un Codice uniforme. Ma gli abusi si erano mantenuti, l'uso si appoggiava sul possesso, le costume sulle abitudini ; quindi ogni tentativo fu vano, ed il vecchio edifizio legislativo non cadde che sotto i colpi dell'Assemblea costituente, dei Congressi nazionali e del Governo consolare che colà si succedettero (1).

Ne guari più avventurati furono i tentativi fatti in Italia dai varii governi che la ressero nei due secoli ora trascorsi.

La Repubblica veneta ideò più volte di riordinare e riformare regolarmente il corpo intiero delle sue leggi, ma non si venne però mai ad una generale compilazione ordinata e compiuta. Nel secolo XVII si tentò in diversi modi quell'im

(1) VIGNA ed ALIBERTI, Dizionario di diritto amministrativo, vol. II, pag. 389.

presa, senza mai ridurla a compimento. Ne ebbero incarico dal governo il cavaliere Finetti, poi il conte Marino Angeli, il quale pubblicò due volumi, l'uno di materie riguardanti al gius pubblico, e l'altro di cose attinenti al gius privato. Ma questi non compresero l'intiero corpo delle venete Costituzioni, non essendo neppure riuscito a procurarlo al pubblico un magistrato appositamente creato nel 1662, col titolo di Soprantendenti alla formazione de' sommarii delle leggi (2). Quando Carlo III di Borbone salì al trono di Napoli, la legislazione napoletana era un complesso di molteplici capi che si riannodavano alle varie dinastie che si erano succedute nella dominazione di quelle contrade: non meno di undici erano gli avanzi di quelle leggi che stavano ancora in osservanza nel reame. Egli concepi pertanto nel 1741 l'idea di ridurle tutte in un corpo regolare, levandone le antinomie ed i precetti antiquati. Vennero dal re scelti a quella compilazione il marchese Francesco Vargas Macciucca, il consigliere Giuseppe Aurelio di Gennaro, ed il professore Giuseppe Pasquale Cirillo. Ma l'opera, bene ideata, non potè compiersi, e forse quelli a cui era stata commessa non ne avevano bene afferrato il concetto: basti ricordare che il Cirillo pensò doversi quel Codice scrivere in latino! (3).

Francesco di Lorena, granduca di Toscana, concepì pure il disegno di comporre per quelle provincie un Codice di leggi civili che riunisse in sè quella parte di antico che si voleva conservare, ed il di più che s'intendeva aggiungere giusta l'esigenze del tempo; un dispaccio granducale del 5 maggio 1745 ed un conseguente decreto della reggenza del 3 giugno stesso anno ne ordinarono l'attuazione. La direzione di sì grave opera venne affidata all'auditore Pompeo Neri, uomo quant'altri mai idoneo a tanta impresa. Ma la promessa di Francesco I rimase nello stato di puro desiderio: e benchè il grande Leopoldo non avesse smesso il pensiero della compilazione del Codice che il suo genitore si era proposta, ed anzi ne avesse dato novello incarico, nel 1787, all'auditore di Ruota Giuseppe Vernaccini, poi al consigliere Michele Ciani, e successivamente all'avvocato Giuliano Tosi ed al celebre professore Giovanni Maria Lampredi, tuttavia neppure quella volta il disegno potè aver eseguimento, stante le politiche commozioni indi a poco seguite (4).

In Piemonte un glorioso Principe che precedette nelle riforme di Stato i due sovrani ora nominati, Vittorio Amedeo II, primo re di Sardegna, concepi ed attuò nel suo regno la codificazione delle leggi promulgate da' suoi predecessori; e già fin dall'anno 1723 pubblicava esso, col titolo di Leggi e Costituzioni, un Codice di leggi civili, commerciali, criminali e di procedura civile e criminale, il quale veniva in seguito rifuso, emendato e ripubblicato dal medesimo Principe nel 1729, e che il re Carlo Emanuele III migliorò con quelle riforme che il lungo suo regno gli aveva fatte conoscere opportune, e ripubblicò addì 7 aprile 1770. Ma quantunque queste Costituzioni, che furono il primo Codice di leggi che si pubblicasse in Europa, eccitassero in quel tempo l'ammirazione tanto dei nazionali quanto degli stranieri, di guisa che il barone di Carmer, gran cancelliere di

(2) SCLOPIS, Storia della legislazione italiana, vol. III, cap. 6.

(3) Op. cit., ivi, cap. 4.

(4) Op. cit., ivi, ivi. ZOBI, Storia civile della Toscana, lib. VI, cap. 9, § 5.

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Prussia, avesse a dire che il Codice prussiano non aveva altro modello degno di essere imitato che quello di Sardegna del 1770; tuttavia esse Costituzioni erano ben lungi dal rappresentare quel tipo di legislazione unica ed universale, di cui la Francia, pochi lustri dappoi, diè il modello all'Europa nel colossale lavoro del suo Codice napoleonico. Perocchè, a prescindere dalla considerazione che le Costituzioni piemontesi erano un amalgama di leggi su ogni branca del diritto privato e pubblico, la riforma che con esse si operava non era radicale. Queste Costituzioni per vero non potevano chiamarsi una legge generale: esse stavano a modo di eccezione al sistema del diritto romano che formava la base della legislazione del paese si osservavano ancora come leggi particolari gli statuti locali approvati dal sovrano e le decisioni dei magistrati (5).

Sicchè sta vero quanto sopra ci occorse di asserire, che la codificazione tentata in Italia nei secoli XVII e XVIII, dove pur una ne fu, lasciava l'addentellato col passato, e procedette a mal agio attraverso a difficoltà di ogni genere.

Ma intanto i tempi venivano maturi; e li maturava l'eletta schiera de' filosofi e pensatori che da Bacone da Verulamio e dal Leibnitz, fino al Montesquieu ed al Mirabeau, apparecchiavano nel silenzio de' loro gabinetti quella riforma sociale, che, presentita dapprima dagli Italiani, s'incarnò dappoi nella Rivoluzione francese del 1789.

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I primi anni di quella memorabile rivoluzione non furono invero segnalati da riforme importanti nella legislazione civile; chè l'Assemblea costituente, tutta intenta a riedificare di pianta gli ordini politici e sociali, e la Convenzione, occupata a tuffarsi nel sangue cittadino ed a sbaragliare i nemici della Francia, non erano congressi in cui pacatamente si potesse discutere un Codice di leggi civili. Tuttavia la dichiarazione dei diritti dell'uomo e la famosa notte del 4 agosto 1789, in cui si spense per sempre la feudalità, segnavano i punti di partenza da cui doveva necessariamente scaturire l'eguaglianza civile, base degli odierni codici. La giornata del 18 brumaio aveva intanto posto in mano del Bonaparte le sorti della Francia, e la tranquillità che ne seguì, fu favorevole all'esplicamento dell'idea da lui concepita di dare un Codice al suo Impero. Ciò però non fu senza contrasti. Sul finire del 1801 tre progetti di legge sul Codice venivano presentati al Corpo legislativo, il quale, seguendo in ciò il voto del Tribunato, ne rigettava il primo, e proponevasi di rigettare anche il secondo: allora Napoleone ordinò che fossero ritirati. Ripigliatasene otto mesi dopo, con autorità più sbrigata da vincoli, la discussione, era l'opera definitivamente terminata il 17 di marzo 1804 (6).

Il Codice francese (diceva il dotto deputato Pisanelli alla Camera dei Deputati) è un'opera stupenda, e certo devesi gran lode ai suoi compilatori. Essi seppero cogliere il punto giusto dello sviluppo del diritto, descriverlo esattamente, esplorando tutte le teoriche del diritto romano, le quali già erano state svolte dal Domat e dal Pothier, e seppero raccoglierle insieme, descriverle, ordinarle in

(5) RR. CC., lib. m, tit. 22, § 15. Cit. Dizionario di diritto amministrativo, loc. cit. SCLOPIS, Op. cit., vol. III, cap. 4.,

(6) 11 Codice civile francese fu composto mediante gran numero di leggi, di cui la prima è del 14 ventoso anno XI, e l'ultima del 24 ventoso anno XII, le quali tutte sono state dalla Legge 30 ventoso stesso riunite in un sol corpo col titolo di Codice civile dei Francesi.

modo chiaro e preciso, innestandovi quelle dottrine che la nuova civiltà aveva pure formolate » (7).

Al merito di un'eccellente redazione accoppia questo Codice quello d'avere gelosamente rispettato quel giusto limite che separa un'opera legislativa da un'opera scientifica sulla legislazione; e malgrado alcune mende che pur vi si notano, sarà sempre oggetto di meraviglia, quando si pensi con quanta celerità siasene compiuta la compilazione (8).

E ben può esso venire salutato come il padre dei moderni Codici civili, perchè importato dalle vittorie delle armi francesi in quasi tutta l'Europa, vi si conservò pressochè generalmente con qualche modificazione per l'autorità, la grandezza e l'utilità dell'opera, dopochè si dovettero ritirare i conquistatori.

E gli Italiani, cui la fortuna del moderno Cesare incatenava al suo carro, nel dolore della perduta nazionalità pur si confortavano con codesto beneficio di essere fatti compartecipi d'una legislazione che lasciava poco a desiderare, e che gli emancipava senza più da quella intricata matassa di leggi in cui per lo passato il progresso morale ed economico della loro nazione era stato inceppato. Il napoleonico Regno d'Italia fu anzi dotato d'un testo officiale italiano di esso Codice, che ebbe forza di legge in quel regno col decreto del 30 marzo 1806.

Fatta la Ristorazione del 1814, non è quindi a dire quanto l'Italia si rammaricasse di vedersi tolta d'un tratto codesta legislazione, la quale, se in alcuna parte non rispondeva alle sue abitudini ed aspirazioni, erasi pure in quei brevi anni della dominazione francese incarnata in ogni transazione giuridica, ed aveva presa quasi cittadinanza italiana.

Allora si videro ripristinate le antiche legislazioni da quei sovrani che nel lungo esilio nulla avevano appreso, nulla dimenticato.

Questo brusco ritorno al passato non durò per altro lungamente. La reazione contro le idee dell'89 e dell'Impero trovossi impotente contro il soverchiare della borghesia, assetata d'eguaglianza e signora oramai del campo; e come nell'ordine politico convenne appigliarsi a larghe promesse di libertà, così fu forza (ed in ciò si tenne parola) transigere colla necessità de' tempi e largire Codici civili alle riconquistate provincie.

L'Italia, nuovamente frantumata dal Congresso di Vienna in parecchi Stati, ebbe ed aveva pur testè ben cinque Codici: l'austriaco del 1815 pel LombardoVeneto, quello delle Due Sicilie del 1819, il parmense del 1820, il subalpino del 1837, esteso nel 1861 alle Romagne, alle Marche ed all'Umbria, ed il modenese del 1851, senza contare quello pel Canton Ticino (nella Svizzera italiana) del 16 giugno 1837.

Occorre al nostro assunto di far breve cenno di ciascuno di codesti Codici.

Codice austriaco. - Il regno Lombardo-Veneto, creato dal Congresso di Vienna col trattato del 1815, e composto della maggior parte dei dipartimenti che prima formavano il regno d'Italia, ebbe dagli imperatori austriaci, cui fu sottoposto, il Codice di leggi civili promulgato nel 1811 per gli Stati ereditarii tedeschi. Esso andò in osservanza il 1° gennaio 1816 in forza di patente sovrana

(7) Discorso alla Camera dei Deputati nella seduta 14 febbraio 1865 (Atti del Parlamento, Camera dei Deputati, no 1193, pag. 4665).

(8) Raccolta dei moderni Codici d'Italia, Introd., pag. VIII.

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