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trovarvi che il solo pittore. E dove sono, disse il monaco, questi bambini? Ove li avete occultati? In niun luogo rispose Lattanzio ridendo: qui non vi sono altri fanciulli che quelli che voi vedete da me dipinti; lo che obbligò il frate a convertire suo malgrado la stizza in una risata (65).

Lo stimolo della gloria infonde ingegno a chi ne manca, ed in chi ne ha lo raddoppia, e perciò di rado o non mai, al dire di un classico illustre (66), si dà valore eccessivo senza gara e senza cimento; perchè mal s' accorge di poter esser vinto chi corre solo; e non si affretta, nè sa di aver possanza di camminar più veloce chi correndo non si vegga alcuno avanti, o non si senta inseguire da alcuno. La mente umana per suo naturale istinto ha dell'altiero, e malamente sopporta superiore; talmente che per non restare al di sotto non sente fatica e non conosce pericolo. Ma se non ha di che temere, tosto s'infingardisce, e purchè superi gli altri con la semplice mediocrità, non si cura gran fatto di raggiugnere la perfezione. Molto è dunque tenuta la

(64) Una testa di queste pitture trovasi presso il signor Paolo Brognoli, ed alcune altre presso il signor Pietro Da-ponte.

(66) Dati pag. 88, e 89.

virtù alla emulazione, che la risveglia quand'ella dorme, la sprona quand'ella è restìa, e quando avvilita si muove appena brancolando per terra le presta l' ali per gire al cielo. Evidentissima prova di questo vero si è, che niuna arte o scienza mai giunse al colmo se da molti e molti nel medesimo secolo non fu professata con ardentissima competenza; e ciò singolarmente si scorge nella pittura, nella quale non fiori giammai valente maestro, che ne' tempi suoi fosse solo. Quindi allorchè il nostro Lattanzio, pago di sè medesimo per la conoscenza di non avere nè in patria, nè per lungo tratto all' intorno competitore alcuno ch' egli non avesse raggiunto o superato, poteva forse allentare l'ingegno, una nobile alterigia ed una provvida emulazione sopravvennero a mantenere in esso lui sempre vivo il desiderio di conseguire gloria maggiore. Ave. vano i Signori della città nel 1564 ordinati con scrittura 3 Ottobre al famoso Tiziano Vecellio tre vastissimi quadri ad olio pel volto della gran sala nel palazzo della Loggia (67). Punto

(67) Averoldi pag. 56, Ridolfi al luogo citato, Zamboni pag. 82 nota 57. Nel quadro di mezzo era figurata Brescia, sotto la forma di venerabile matrona riccamente vestita, con Minerva

al vivo Lattanzio, che gli si fosse fatto il torto di non crederlo capace di tanto, e che i molti squisiti lavori a fresco e ad olio da lui esposti al pubblico sguardo non gli avessero ancora acquistata tal fama da farlo anteporre

pacifica alla destra, Marte alla sinistra, e tre Najadi nella parte più bassa versanti acqua dall'urne; nel secondo da collocarsi a ponente sudava Vulcano co' suoi Ciclopi entro ad una cavernosa ed affumicata fucina intorno ad un pezzo di arme; nel terzo da riporsi a levante stavano Cerere gestante nella destra un manipolo di miglio e di lino, e Bacco coronato de' suoi dolcissimi frutti. Sedevano a loro piedi due fiumi col cornucopia, versando essi pure acque copiose dall' urne. Così si erano espresse le tre singolari proprietà del suolo Bresciano: l'abbondanza, il lavoro delle fucine e la copia dell' acque . La sola fucina di Vulcano fu incisa da Cornelio Cort. Sostiene però l' Heineken tom. IV pag. 351, che questa stampa, un esemplare della quale esiste presso il signor Paolo Brognoli, non sia di Cort, ma di un certo Soye suo allievo di cui non trovasi da alcun altro fatta menzione . Perirono questi preziosissimi quadri di Tiziano nel fatale incendio della Loggia accesosi, non si sa come, li 18 Gennajo 1570.

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a qualunque forestiero artefice, offerì ai possessori della casa a mezzodi della Loggia, ora abitata da' signori Lera al numero 3398, di dipignerne a suo modo il prospetto colla sola rifusione della spesa de' colori; e ciò egli fece perchè recando Tiziano a Brescia i quadri commessigli vedesse cogli occhj proprj, che diritto pensando non si avrebbe avuto bisogno di ricorrere a straniero pennello. Dipiuse Lattanzio su quella parete i quattordici figli di Niobe (68) saettati da Apollo e da Diana in gastigo della superbia della loro madre che osò disprezzare Latona, e pareggiare sè stessa agli Dei. Le tinte sono sì gagliarde, che ancora in parte resistono benchè esposte a tramontana (69). Vol

(68) Quis furor auditos, inquit, praepone

re visis

Caelestes? aut cur colitur Latona per aras? Numen adhuc sine thure meum est.

Ovid. Metam. lib. IV.

(69) Danneggiata molto questa vecchia casa dalla scossa di terremoto avvenuta li 29 Maggio 1799, fu dopo il suo risarcimento in gran parte imbiancata. Si grave perdita per le belle arti certamente non si sarebbe fatta, se a quaiche Magistratura avessero gli antecedenti governi affi

le forse con quella favola simboleggiare il pittore, che a chi troppo di sè presume, sovrastano costantemente inopinate ruine (70). Fanno queste pitture tutt' ora le sue vendette, riscuotendo il plauso e l'ammirazione degl' intendenti.

Divulgatasi in Venezia la fama del valore di Lattanzio per bocca probabilmente dei fratelli Rosa Bresciani, e fors' anco dello stesso Tiziano, che, come abbiamo riferito, veduto aveva in Brescia i miracoli del suo pennello, ebbe il Gambara a trasferirsi in quella Capitale (71) a richiesta de' signori Foscari, e loro dipinse a fresco nel cortile delle loro case a san Simeone-piccolo in tre grandi scompartimenti: 1. il ratto delle Sabine; 2.° la battaglia fra i Romani e i Sabini per causa della seguita violenza; 3.° il frapporsi che fecero le rapite donzelle fra i loro padri, fratelli e mariti onde ridurli alla pace. Gli ornati e il fregio di figurine e di animali, che quivi accor

data la cura del pubblico ornato, come con vera saviezza ha provveduto il presente .

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(70) Vasari tom. 1x pag. 279 nota (*)

(71) Ridolfi part. 1 pag. 259, e segg., Ave

pag. 194, Orlandi pag. 333, Lanzi tom. II part. I pag. 101, Zanetti pag. 247.

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