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gliono gli artigiani destinato aveva il figliuolo alla medesima sua professione (6); ma quanta aveva ostinazione il padre nel volere ch' ei l'apprendesse, altrettanta caparbietà mostrava il giovinetto nel rifiutarvisi .

Trovandosi in Brescia il celebre dipintore Giulio Campi Cremonese, o piuttosto il cavaliere Antonio suo fratello (7), di cui sono fat

torno alla durata della vita ed all' epoca della nascita di Lattanzio, perchè ciò più concorda ancora colla naturale possibilità dell'esecuzione di tanti lavori, che non già con incertezza gli si attribuiscono, ma che sono realmente di sua mano, come sarà meglio dimostrato in appresso. Nella seconda parte di queste memorie, in cui si danno succinte notizie intorno a' più celebri pittori Bresciani, parecchie volte accaderà di riscontrare che l'anno della morte di un artefice, sia caso sia provvidenza, fu quello della nascita di un altro.

(6) Rossi pag. 511, Orlandi pag. 333, Ridolfi part. I pag. 259. Al solo annotatore del Va sari tom. VIII pag. 357 nota 1 venne la strana fantasia di far Lattanzio figlio di un fattore. :

(7) Il Vasari tom. VIII pag. 366 riferisce che Lattanzio abbia appreso l'arte della pittura da Giulio Campi, ma il Rossi pag. 511, il Coz

tura la facciata della casa di proprietà presen

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zando pag. 122 l'Orlandi pag. 333, il Ridolfi part. I pag. 259, e il Zamboni pag. 82 nota 57 si accordano tutti nel farlo discepolo di Antonio Campi minor fratello di Giulio. Sia l' uno sia l'altro di questi eccellenti fratelli quegli che primo s'incaricò di ammaestrarlo, noi crederemo col Lanzi tom. 11 part. I pag. 101, che il Gambara non già da uno di essi soltanto sia stato istruito, ma bensì ch'egli siasi formato nella picna loro accademia. Giulio Campi Cremonese, e non Veronese, come trambusta il Vasari, sempre infelice nella nomenclatura de' Veneti e de' Lombardi pittori, nacque l'anno 1500 da Galeazzo Campi, il quale a lui diede i rudimenti della pittura. E' manifesto errore quello dell' Orlandi pag. 310, che lo fa nato nel 1540, cioè quattro anni dopo la morte del padre avvenuta nel 1536. Inviato alla scuola di Giulio Romano, che a que' di era in Mantova, e diffondeva per tutta Lombardia il gusto istillatogli dal maggiore de' pittori Raffaello di Urbino, da lui apprese grandiosità di disegno, intelligenza del nudo, varietà e copia d'idee, magnificenza nell' architettura, abilità in somma universale per trattare qualsivoglia argomento. Accrebbe poi la sua maestria studiando in Roma i dipinti di Raf

temente della signora Ippolita Martinengo da

faello, e le opere antiche, ed ivi disegnando con mirabile accuratezza la colonna Trajana considerata sempre come una gran scuola degli antichi tuttavia aperta a' posteri più lontani. Riguardando poi altrove i lavori di Tiziano, del Pordeno

del Sojaro e del Correggio, e quelli imitando opportunamente al pari di qualunque altro, formò egli uno stile che tiene alquanto di quello di molti celebri artefici, e che alcuna volta lo fa scambiare per infino ora con l'uno ora con l' altro di essi. La somma considerazione, in cui Giulio teneva gli accennati egregi maestri non lo distrasse però giammai dal consultare la bella natura, e così egli insinuò che dovessero fare Antonio e Vincenzo suoi minori fratelli, e Bernardino Campi, forse loro congiunto, da lui tutti nella pittura accuratamente addottrinati, onde poi ne avvenne quel loro quasi uniforme compartimento di vivaci colori, e quella leggiadra maniera di porgerli, che lo Scaramuccia trovò del tutto originale. Giulio Campi in somma fu nella propria scuola ciò che Lodovico Caracci fu nella sua. Morì l'anno 1572. Antonio Campi poi, che viveva ancora nel 1586, fu non solo eccellente pittore, ma buon scrittore, plastico, incisore in rame, cosmografo ed architetto. Da Gre

Barco a Sant' Eufemia (8) al numero 637, ed i pregiatissimi quadri a tempera per la sala dei dottori di collegio (9) ora trasportati ad orna

gorio XIII. venne per le sue virtù creato cavaliere, e nell' anno 1575 dedicò le sue Croniche di Cremona a Filippo II Re di Spagna. Bravo moltiplice artista, e non digiuno di umane lettere fu egli parimenti nella famiglia Campi quasi come Agostino in quella de' Caracci.

(8) Il Ridolfi part. I pag. 259 e segg. e il Paglia MS. fol. 435 credono le pitture della facciata di questa casa opera di Lattanzio, ingannati forse dalla somiglianza del colorito e della maniera; ma l'Averoldi pag. 177, e il Carboni pag. 104 l'asseriscono indubitatamente lavoro de' Campi. Democrito che ride delle umane pazzie, Eraclito che piange sulle mondane miserie fra varj scherzi di bambini, che si vogliono alludere alle quattro stagioni dell'anno, sono il soggetto di questa pittura, che da quasi tre secoli lotta ancora non del tutto smarrita colle ingiurie del tempo, essendo stata probabilmente eseguita circa il 1545. E' però da sperarsi che il buon gusto della signora Ippolita Martinengo da Barco ami di vederla un qualche giorno ravvivata per mano di qualche artefice esperto.

(9) Questi quadri, che sono in numero di otto, e che dall' intelligentissimo Cardinale Anto

mento del palazzo della Loggia, ove risiede l'Amministrazione Municipale, accadde, che pas

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nio Barberino nel suo passaggio per Brescia furono considerati un tesoro, si vuole assolutamente dall' Averoldi pag. 58, e dal Carboni pag. 17, che sieno di Antonio Campi. Rappresenta il primo il giudizio di Salomone fra le due madri ; il secondo quello di Daniele nella causa della casta Susanna accusata dai due libidinosi vecchioni; il terzo quello di Seleuco Re de' Locresi che fa cavare al figlio adultero un occhio, e l'altro a sè stesso; il quarto quello di Cambise, che ordina di sedere sulla pelle di un giudice corrotto e punito al figlio medesimo del prevaricatore; il quinto Caronda, che di propria mano si uccide per aver violata sopra pensiero egli stesso pel primo la legge da lui promossa che non si dovesse entrare con armi ne' pubblici consiglj; il sesto Filippo il Macedone, che col proprio danaro risarcisce Macheta di una ingiusta sentenza; il settimo il giudizio di Manlio Torquato, che condanna a morte il figlio, benchè vittorioso, per essersi battuto col nemico contro gli ordini consolari; l'ottavo finalmente raffigura Trajano Impeche con magnanima sofferenza ascolta le querele di una vecchia donnicciuola. Atene e Roma nell' epoca della loro più integra virtù, non

ratore

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